Salome

 

Franz von Stuck – Salome (1906)

Franz von Stuck – Salome (1906)

“Man töte dieses Weib!”, “Uccidete questa donna”. No, non può essere. Alla fine rimane solo lei sulla scena: la Diva. Inginocchiata, ammira la testa di Jochanaan, e mi chiedo se è stato amore. La Diva ci ha stregato, avvolto, cinto di voluttà. Non esisto più in me stesso, ma solo nella sua voce. Mi adagio infine, spossato, nella poltrona di velluto. Non ho trovato pace fino a quel momento sull’imbottitura di velluto, la schiena è rigida, lo sguardo fisso innanzi a me. Il sipario è chiuso, ma è come se vedessi Salome. Quando esso si apre, al centro della scena rimane la Diva, sola. Le parole mi mancano. Parte il “BRA…”, ma il “…VA” si spegne, ovattato, nella mia bocca. “L’art de la juissance”, potrebbe pensare qualcuno, ed invece per gioire arrivo fino ad annientare in mio io, il mondo che mi circonda. Lo ripeto: esiste solo lei, Nina/Salome, sulla scena, ed il mio unico desiderio è stato, in alcuni istanti di mistica incompiutezza, quello di trovarmi al posto della testa di Jochanaan.

Ma procediamo con ordine. La Diva mi ha annientato nel suo ultimo grido di morte e d’amore, eppure, sin da quando era entrata in scena, avvolta in un lungo abito argentato, mostrava la sua fatalità. Dannata, pronta al sacrificio, alla follia, all’omicidio, eppure bellissima e voluttuosa. Tutto in lei sembra perversione; eppure, mentre la guardo muoversi istericamente e dolcemente sulla scena, mi viene da credere che si tratti in realtà di amore. È su questa ambivalenza che la Diva ha giostrato – e stregato – il mio animo per due ore.

Salome è sensualità, puro sesso: ammalia chiunque. Narraboth apre l’opera dichiarando: “Wie schön ist die Prinzessin Salome heute nacht!”, “Com’è bella questa notte la principessa Salome”. Erode non esita a chiederle: “Salome, tanz für mich!” (“Balla per me”). E così Salome danza. Ecco quindi nascere un secondo desiderio durante la rappresentazione, quello di appartenere alla schiera di cortigiani che, assieme al fortunato Erode, hanno potuto gioire del seno scoperto della Diva. In quel momento ho finalmente capito perché Erode non poteva in alcun modo contraddire Salome, nemmeno davanti alla folle richiesta di possedere la testa di Jochanaan servita su un piatto d’argento. Orrore, delirio… o semplicemente amore?

Le parole mancano. La gola è arsa. La Diva invoca la morte del profeta e si lascia andare al proprio amore. Mentre la ascolto sono sicuro: questo è amore. “Né i torrenti né i mari potrebbero sedare questo infocato anelito… Oh! Perché non mi hai guardato? M’avessi tu guardato, certo m’avresti amato, lo lo so, sì lo so, m’avresti amato. E il mistero dell’amore è più grande che il mistero della morte…” Un bacio, solo un bacio.”

Il bacio giunge. Spettrale e appassionato. Siamo giunti alla fine. La Diva pronuncia le sue ultime, acutissime, sillabe; questo è amore? “Ah! Ich habe deinen Mund geküßt, Jochanaan. Ah, ich habe ihn geküßt, deinen Mund, es war ein bitterer Geschmack auf deinen Lippen. Hat es nach Blut geschmeckt? Nein! Doch es schmeckte vielleicht nach Liebe… Sie sagen, daß die Liebe bitter schmecke… Allein, was tut’s? Was tut’s? Ich habe deinen Mund geküßt, Jochanaan. Ich habe ihn geküßt, deinen Mund.” (“Ah! T’ho baciato la bocca, Jochanaan. Ah! L’ho baciata, la tua bocca, c’era un sapore amaro sulle labbra. Era sapore di sangue? No! Ma forse era sapore d’amore… Dicono che l’amore sappia d’amaro… Però, che importa? Che importa? T’ho baciato la bocca Jochanaan. lo l’ho baciata, la tua bocca.)

Richard Strauss, Salome
Salome, Nina Stemme
Opernhaus Zurich


Marco